Da alcuni anni la Provincia di Torino, attraverso lassessorato alle
risorse naturali e culturali, ha avviato il Progetto di Cultura Materiale,
che intende valorizzare la storia del paesaggio agrario fino a farlo diventare
un vero e proprio ecomuseo che, attraverso itinerari a soggetto, come le
piste ciclabili, aiutino il visitatore a riscoprire la cultura contadina e a
fruire del paesaggio non solo come una bellezza da gustare, ma anche come il
risultato di un processo storico, frutto di un intenso lavoro di intere
generazioni che lo hanno modellato in relazione a specifici bisogni e alle sfide
che lambiente naturale poneva loro.
Se per le valli, anche per il visitatore più distratto, è ancora
possibile cogliere i segni delle epoche passate, molto più difficile risulta
immaginare quale sia stato nei secoli laspetto del paesaggio agrario della
piana pinerolese, ove preziosi "indicatori", come vecchi caseggiati in
pietrame e mattoni crudi, filari di alberi, fossi a cielo aperto per lo scolo
delle acque, siepi o cespugli di acacie ai bordi dei campi meno fertili, stanno
lentamente scomparendo. Gli studiosi devono oggi fare ricorso sempre più agli
archivi storici (consegne, catasti, mappe, registri notarili, bandi campestri),
alle testimonianze orali, allarcheologia e alla fotografia aerea, per
individuare i segni di un paesaggio agrario altrimenti indecifrabile. Nonostante
queste difficoltà, relativamente al nostro territorio, sono apparse
interessanti ricostruzioni che, seppur non in modo esaustivo, ci aiutano a
tracciare una prima mappa di quale sia stata la sua evoluzione attraverso i
secoli.
Un interessante studio condotto da Grado Merlo su un inventario dei beni
dellabbazia di S.Maria di Pinerolo (1328), sui Conti della Castellania e
sugli Statuti, relativamente ad uno dei più antichi complessi fondiari del
pinerolese, quello del Musinasco (Villafranca) ha permesso allautore di
delineare il paesaggio agrario di Villafranca allinizio del XIV secolo. Sorta
in riva al Po nel corso del XII secolo, Villafranca si sviluppa grazie alle
opere di dissodamento messe in atto dai monaci o da qualche signore del luogo ed
alla sua posizione, che ne fa unarea di produzione e di scambio. Ci
troviamo di fronte ad un paesaggio - spiega lautore - lineare: unampia
zona pianeggiante con lievi ondulazioni (podia) e depressioni (bassia)
del terreno. Ad interrompere tale uniformità sono i corsi dacqua. [...]
Lazione del Po e del Pellice, unita al fatto che nella zona di Villafranca
riaffiora la linea delle risorgive e tutto il territorio è assai ricco di
acque, determinava il formarsi di vari lacus [...] piccoli bacini
paludosi. [...] Labbondanza di acque doveva aver reso il territorio di
Musinasco prevalentemente acquitrinoso, regno delle erbe palustri e della
vegetazione arbustiva. [...] Per la messa a coltura dei terreni dovette perciò
svolgersi unampia attività di bonifica e di dissodamento. I dati relativi
al documento del 1328 riguardano la distribuzione agraria di 1596 giornate di
terreno: per il 69,5% sono di arativo nudo, al quale vanno aggiunti gli
appezzamenti di arativo misti ad altre colture, in prevalenza piantato (7%) e
prato (10%); infine il bosco (1,3%) e lincolto produttivo (1,2%). I cereali
più largamente coltivati erano lavena, la segale, la meliga o saggina, il
miglio e il panico. Ad essi si affiancavano i legumi (fave, fagioli, ceci,
cicerchie) e la canapa. Tra le colture arboree: alberi da frutta (meli, peri,
noci, noccioli e ciliegi), e olmi, pioppi e querce. Ampiamente attestata anche
se la presenza della vite anche se, data lumidità del luogo, non doveva
essere troppo diffusa. Conclude dunque lo storico affermando che si tratta di
un paesaggio di pianura caratterizzato da campi appena delimitati da
viottole, da una via vicinale o da una più importante strada di comunicazione.
Si tratta probabilmente di campi aperti, che contrastavano con le clausurae,
con gli appezzamenti chiusi a coltura specializzata, posti nelle immediate
vicinanze di Villafranca. (Foto: Palzzotto adiacente alla Cascina del Musinasco)
Un articolo di Giancarla Bertero su due catasti del XV secolo sposta invece la nostra attenzione sul territorio di Buriasco, diviso allepoca in Buriasco Superiore (Frossasco, Roletto, Piscina) ed Inferiore: una ripartizione che non è solo amministrativa ma mostra come il paesaggio agrario tenda a mutare man mano che ci si avvicina all'area collinare pedemotana. Nelle terre di Buriasco inferiore la quota più consistente di coltivazione è infatti ancora rappresentata dal prato localizzato un po ovunque sul territorio buriaschese, associato talvolta allarativo e allalteno. Secondo la studiosa La diffusione del prato, più massiccia che nel territorio pinerolese, dove interessava il 15,16% della superficie agraria, e il censimento di un certo numero di airali sono indizi di unattività di allevamento del bestiame che il catasto non consente di quantificare perché [...] non riporta il numero dei bovini e degli ovini posseduti. Noi ne abbiamo però rintracciato la presenza nel limitrofo territorio di Macello, attraverso i Registri di comunità: nel 1391 sul territorio vengono censiti 244 bovini, 58 suini, 7 ovini e 5 cavalli; nel 1418, un lieve calo dei bovini (205) risulta compensato da un deciso aumento degli ovini (147); una tendenza che tende a stabilizzarsi anche nella seconda metà del secolo. Nella scelta di incrementare lallevamento degli ovini aveva sicuramente giocato un ruolo importante la presenza di importanti aree boschive come emerge dalle mappe catastali, e da alcuni toponimi del luogo esistenti tutt'oggi (Regione Boschi). Il bosco, come è noto costituiva un importante sostegno per la fragile economia delluomo medievale: oltre al pascolo di ovini e suini, esso era teatro di attività di cacciagione e di raccolta di frutti selvatici, nonché di legname.
I documenti relativi a Macello ci offrono infine una preziosa indicazione
sulla diffusione della canapa in questa zona: totalmente assente nei registri
del Trecento essa fa la sua comparsa in quello del 1437 (12 giornate), 1458 (18
giornate), 1533 (23 giornate). Si tratta di una coltura destinata a segnare
profondamente il paesaggio agrario di Macello nei secoli. Secondo una
testimonianza di Luigi Priotti, nel periodo di massima espansione, essa aveva
unimportanza pari a quella del mais oggi. E Casalis (XIX sec.) attesta che la
canapa macellese riesce molto atta alla formazione della tela. Infine un
lavoro di ricerca di Valerio Bertinetto ci ricorda che gli usi della canapa
erano molteplici: oltre alla produzione di tessuti, ma soprattutto di robuste
funi, da essa veniva estratto lolio ed, infine, gli stocchi della canapa
venivano usati per la lettiera degli animali.
Il quadro muta decisamente man mano che ci si sposta verso Pinerolo. Nel
territorio di Buriasco superiore, nel 1444, lalteno occupa 170 giornate, il
74% della superficie coltivata. Lalteno - spiega la Bertero - aveva
soppiantato completamente le vigne a palo secco, ancora numerose sulla collina
pinerolese. La differenza tecnica di coltura corrispondeva ad un diverso modo di
sfruttamento del terreno: le pecie (appezzamenti) di alteno erano più
estese delle vigne e lalteno richiedeva meno lavoro del vigneto, poiché il
mancato impiego di pali, già di per sé economicamente vantaggioso, consentiva
di evitare le operazioni di sostituzione connesse al loro deterioramento e la
legatura dei pampini. Gli alberi, che a loro volta producevano frutti,
assicuravano oltre al sostegno, anche un certa protezione contro le avversità
climatiche come le gelate primaverili e la grandine, grazie alle loro fronde.
Non molto diverso doveva apparire il paesaggio collinare di Cumiana e
Piossasco alle soglie del '500: un po' ovunque viti, delimitate da muri e siepi
vive. Anche qui, ai piedi della collina, secondo un'accurata ricostruzione di
Gianfranco Martinatto relativa all'area piossaschese, unitamente ad una forte
presenza dellalteno, la coltivazione di svariati cereali quali frumento, barbariato,
segala, meliga, ceci, cicerchie (leguminose), fagioli ed infine, dal XVI secolo,
la canapa.
Anche se breve, degna di essere segnalata è la vicenda della
coltivazione del riso, che investe larea detta della Marsaglia (Cumiana,
Piossasco, Volvera, Piscina), perché è indicativa della presenza di un
capitalismo agrario nelle nostre campagne che punta su unagricoltura
estensiva, ma che troverà larga resistenza tra le popolazioni locali,
soprattutto fra i piccoli proprietari legati a colture cerealicole. I motivi
di tale avversione - spiega Martinatto - sono da ricercarsi nella difficile
convivenza delle produzioni tradizionali di questa zona (cereali, vino, frutta e
fieno) con quella del riso. Un primo problema è legato al fabbisogno idrico; la
nuova coltivazione assorbe tutte le acque del Chisola e di altri torrenti e
canali minori togliendo ogni possibilità ad altre colture di usufruire
dellacqua. [...] La stagnazione delle acque là dove viene messo a dimora il
riso porta su queste terre, generalmente asciutte, umidità e nebbie
persistenti. Oltre a queste alterazioni ambientali la coltivazione del riso
procura introiti e vantaggi solo ai feudatari mentre [
] i contadini locali
[
] vengono estromessi dalle attività di raccolta. Per questo lavoro infatti
sono ingaggiati degli estranei che spesso e volentieri depredano le vigne.
Le rimostranze delle comunità di Cumiana e di Piossasco porteranno
pertanto al divieto della coltivazione del riso, che scomparirà con la peste
del 1630: questo esperimento fallimentare lascerà però nella regione della
Marsaglia e nei territori limitrofi un paesaggio di desolazione di duemila
giornate di terreno ridotte a boschi e gerbidi.
La decadenza del paesaggio agrario di questa e altre zone va però anche
collegata alla presenza di eserciti stranieri per tutta letà moderna:
incendi, distruzioni, saccheggi di castelli (Airasca e Cumiana), carestie e
pestilenze rendono la situazione di queste terre sempre più precaria, e non
lasciano agli abitanti occasioni per tirare il fiato.
Assedio al Castello di Vigone
Alla fine del XVII secolo poi il territorio pinerolese viene duramente
provato dalla campagna militare di Catinat, per il quale la regione non è solo
un luogo di transito ma piuttosto di sosta e scontro con gli eserciti di mezza
Europa. Sono tristemente famose vicende come quella di Cavour, rasa al suolo dal
maresciallo francese nel 1691, ma in questa sede vorremmo segnalare soprattutto
l'impatto della campagna militare sul paesaggio agrario. Secondo Martinatto,
Non solo i raccolti furono compromessi ma anche il futuro delle coltivazioni.
La viticoltura fu la più danneggiata: viti e bronconi vennero divelti rovinando
il lavoro di anni, limitando e compromettendo la produzione delle stagioni
successive. In queste distruzioni furono coinvolte sia le vigne e gli alteni di
pianura, sia le piccole vigne di collina, poiché rendevano disagevole al
Catinat il cammino e la ricerca di una via verso Pinerolo. Alle violazioni delle
piccole proprietà domestiche (orti, giardini, vigne) sono da collegare i fatti
di sangue tra popolazioni locali e francesi. [...] Le rappresaglie, i furti
rendono ancor più desolato lo stato dei luoghi."
Il movimento circolare che abbiamo fin qui seguito ci riporta ora, in una
situazione più pacifica, verso la piana in direzione di Cavour e Villafranca
alle soglie del XVIII secolo. Qui venivano coltivati cereali di ogni specie -
soprattutto grano - anche se la coltivazione più rappresentativa era ancora il
prato stabile. Per tutto il secolo rimane significativa la presenza di pascoli e
di terreni incolti, ma emerge anche la tendenza ad allargare la superficie
coltivabile eliminando i maggesi e allargando i cicli delle rotazioni. Dai Bandi
campestri del Comune di Osasco (1740) apprendiamo, ad esempio, che erano già
particolarmente diffuse le colture foraggiere (trifoglio, panico), unitamente
alle leguminose (ceci, fave, lupini, fagioli).
Complessivamente,
dalla metà del secolo, a fronte di alcune costanti, il paesaggio agrario della
pianura registra la significativa introduzione di nuove colture quali il mais -
che porterà con sé la tragica diffusione della pellagra tra la popolazione più
povera -, la patata e i gelsi per lallevamento del baco da seta. Questi
ultimi erano spesso ubicati in gran quantità in mezzo ai campi dei seminativi,
e, allinterno dei centri abitati lungo pubbliche vie e cortili. Il Casalis (XIX
sec.) ne testimonia una consistente presenza a Buriasco, Macello, Villafranca e
Cavour ove si afferma che sono coltivati con particolare diligenza, e
lannuo prodotto dei bozzoli, che riescono di ottima qualità, eccede i rubbi
6000. A Vigone esisteva addirittura un mercato che si teneva nei mesi di
maggio e di giugno per la vendita e la compra della foglia dei gelsi, che vi
si trasporta non solo da questo territorio, ma eziandio da quelli di Virle,
Vinovo, Cercenasco, Piobesi e None.
I vitigni mantengono la loro importanza soprattutto nellarea
pedemontana: in particolare nella zona di Roletto, Frossasco, Riva, Piscina
(Vi riesce assai buono il vino), Campiglione e Fenile che alimentano un
mercato vinicolo verso Pinerolo e Saluzzo; significative presenze di alteni
vengono registrate anche a Cavour e Macello. Presente anche a Vigone per tutto
il settecento, la vite scompare progressivamente dal territorio nel secolo
successivo le uve riuscendo perlopiù di infima qualità, e non dando perciò
un compenso che pareggiasse le cure e le spese.
Abbiamo già parlato dellespansione della canapa: nel XIX secolo essa
rappresenta una presenza significativa, oltre che a Macello, a Cavour e
Villafranca e Vigone ove si afferma che occupa unottava parte dei medesimi
campi, e si aumenterà vieppiù questo ramo di coltura avuto riguardo al prezzo
della canapa stessa.
Pur con la cautela che le generalizzazioni del caso impongono possiamo
ritenere attendibile la suddivisione colturale proposta da Luigi Priotti:
"una parte a prato stabile, laddove era possibile lirrigazione; ben il
50% riservato ai cereali maggiori: grano e segale, seguiti in ordine decrescente
da mais, avena, patate; ancora prati in rotazione triennale di leguminose.
Ovunque alberi da frutta: meli, peri, sui bordi dei canali e in mezzo ai
prati; peschi nelle vigne, ciliegi e susine attorno alle case; noci in ordine
sparso. Infine querce, olmi, frassini, acacie, pioppi lungo i bordi dei canali o
delle strade. Quanto al bosco, in pianura, esso si avviava lentamente a
scomparire, tranne che nelle vicinanze dei torrenti, come attesta questa
testimonianza del Casalis relativa a Vigone: I boschi, che prima dellepoca
del governo francese occupavano una considerevole parte di questo territorio,
specialmente quella che in sulla manca sponda del Chisone e del Pellice, furono
in quellepoca in parte dissodati e ridotti a campi, ed il prodotto di quelli
che ne rimangono ancora, essendo devastato dal dente del bestiame e dalla avidità
delle famiglie indigenti, che ne fanno un gran guasto, non si può calcolare che
alla metà di quello che se ne dovrebbe attendere.
Accastello Elio, Evoluzione delle colture nel territorio di Cavour, Tesi di diploma, Istituto Professionale Statale per lagricoltura e lAmbiente di Osasco, a.s.1998-99.
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Bertinetto Valerio, Storia di una cascina: Il Sordello, Tesi di diploma, Istituto Professionale Statale per lagricoltura e lAmbiente di Osasco, a.s.1998-99
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