Pietro Osella
UN CONTADINO NELLA GRANDE GUERRA
Diario (1916-20)
A cura di Valter Careglio e Liliana Ellena, L'Altromodo, Frossasco (To), 1995. La presente edizione mantiene la struttura del testo stampato, senza note e con alcune parti rivedute.
Diario di come ho trascorso la vita militare nella Grande Guerra (1915-1918).
L'arrivo al fronte e i primi spostamenti. La vita di trincea.
La ritirata di Caporetto
L'offensiva austriaca sul Piave e la controffensiva italiana
L'armistizio e la conclusione della guerra
Analizzare la fonte: un percorso di lettura (di Liliana Ellena)
Memoria e scrittura
Memoria individuale e memoria collettiva
Appendice: Vivere la guerra a casa (di Valter Careglio)
L'imposta sulle esenzioni dal servizio militare
La censura
Le licenze rifiutate
Le requisizioni di grano e fieno
I razionamenti
Ricordare i caduti
Appendice seconda: una lettera dopo la disfatta di Caporetto (inedito)
Bibliografia
Macello, 30.6.1995 Valter Careglio
OSELLA PIETRO
Diario di come ho trascorso la vita militare nella Grande Guerra (1915-1918)
L'arrivo al fronte e i primi spostamenti. La vita di trincea.
Son partito per Brescia il primo ottobre 1916 nel 7° reggimento bersaglieri che formarono un battaglione reclute dopo alcuni giorni siamo andati in distaccamento al Lago d'Iseo per le istruzioni, dopo sei mesi ho avuto la fortuna di avere una breve licenza concessa dal generale Beruto; ritornando al corpo la mia compagnia era già partita per il fronte: che sono poi stato trasferito a un altro reparto, ma purtroppo è venuto il giorno 21 marzo 1917, ho dovuto anch'io partire per il fronte e sono andato in Carnia che siamo poi andati a raggiungere il monte detto "Cresta Verde" e il "Pal Piccolo". Qui avevamo gli austriaci a poca distanza; c'era molta neve e andando di servizio per i sentieri bisognava avere una fune rossa, lunga diversi metri, legata al braccio che serviva di guida per rintracciarmi in caso fossimo stati sorpresi sotto le valanghe che erano molto pericolose.
Di notte, col pigiama bianco si andava di pattuglia per la neve a esplorare i movimenti del nemico, ma non c'erano mischie. Dopo cinque mesi che eravamo su queste montagne viene il 24 agosto 1917, scoppia una grande offensiva sul Carso da Plava al Mare, allora tutte le truppe più giovani come me da sul Trentino e in Carnia vengono trasferite sul Carso a prendere parte alla grande battaglia. Siamo partiti camminando attraverso le montagne e dopo tre giorni di marcia siamo arrivati alla stazione di Tolmezzo; abbiamo preso il treno che ci ha portati a Cervignano del Carso: di qui siamo andati a piantare le tende in un campo di Aquileia. Dopo due giorni ho avuto il destino di trovare mio cugino, Porporato Michele di Case Vecchie (Piscina) che non conoscevo ancora: siamo stati in compagnia per qualche giorno poi lui è venuto malato, ha dovuto andare all'ospedale, si siamo divisi così che io ho poi dovuto partire per le trincee, raggiungere i battaglioni che erano stati decimati nella battaglia che è poi cessata in questi giorni mentre venivo su: siamo entrati per i camminamenti mascherati; ho traversato Ronchi, Monfalcone, Doberdò poi il Vallone e abbiamo raggiunto la famosa quota 144 sull'Ermada che era sempre un bombardamento in continuo. Qui c'era dei cadaveri che erano stati sepolti da poco e camminandoci sopra di notte si inciampavamo nella punta delle scarpe rimaste fuori terra, si distaccavano dalle gambe: non c'era altro che delle scarpe sparse col piede dentro già consumato. Dopo alcuni giorni ci siamo spostati traversando le Doline del Vallone e abbiamo preso posizione in Castagnevizza e il dorso Faiti: anche qui era sempre tutto accesso dai proiettili dei cecchini. Faceva molto caldo, non c'era acqua, si soffriva di sete e anche della fame che tante volte le mitraglie austriache non lasciavano passare il rancio; e pieno di pidocchi.
Qui appartenevo al 18° reggimento dei bersaglieri; tutti i giorni [ar]rivavano dei sbandati a consegnarsi; e stavano già organizzando nuovi battaglioni e quando siamo stati bene armati ci hanno portati di nuovo sull'argine dove si combatteva i primi giorni sul Piave. I battaglioni sono stati rinforzati anche dalla classe del '99 che era ancora in guarnigione: sono venuti su insieme a noi a fare resistenza, ché gli austriaci volevano a ogni costo passare il Piave. Qui ho letto su qualche muro [una frase] che diceva: "O il Piave o tutti accoppati". Questa era la parola d'ordine.
Qui tutto era da fare. Bisognava lavorare giorno e notte per fare trincee e reticolati, parapetti, sotto il tiro delle mitraglie che cantavano in continuo e si sentivano i fischietti delle pallottole che passavano: ogni tanto qualcuno veniva colpito. Faceva già molto freddo; tutte le notti gli austriaci ci facevano qualche azione: la mattina c'era lo spettacolo di vedere i morti gelati bianchi di brina.
Da queste posizioni di San Donà si è sentito dire che gli austriaci volevano venire [a] passare il Natale a Venezia, allora noi del 18° reg.to bersaglieri siamo andati a Cava Zuccherina insieme ai marinai: bisognava difendere Venezia ad ogni costo.
Questa zona erano paludi del mare e [a] forza di passare nell'acqua dei camminamenti avevo sempre i piedi bagnati e con l'aria fredda e secca di marina, dopo alcuni giorni, mi è gonfiato i piedi che non potevo più camminare: hanno dovuto tagliare le scarpe per levare i piedi da dentro. Anche altri compagni come me abbiamo dovuto andare all'ospedale a Venezia: era la vigilia del Natale 1917.
Dopo un mese sono uscito dall'ospedale; mi hanno mandato al convalescenziario di Ferrara, che sono poi stato fino il cinque aprile 1918 dove mi hanno mandato a raggiungere l'8° reggimento bersaglieri che si trovava al paese di Carbonera (Treviso). Di qui mi hanno mandato a rinforzare un battaglione che si trovava a Breda, dove siamo poi di nuovo andati in trincea a San Donà e poi a Candelù e a Musile: era i primi giorni di maggio, pioveva sempre, si doveva stare giù nelle trincee fangate, con i vestiti bagnati addosso magari già da otto giorni.
Ma finalmente mi è arrivata la licenza: da tanto tempo l'aspettavo. Sono poi giunto a casa il 12 maggio 1918, che ho potuto aiutare mio papà ai lavori del fieno. Sono poi partito per il corpo il primo giugno, di nuovo a Breda del Piave e poi sulle stesse trincee di prima. In questi giorni si sentiva a dire che gli austriaci stavano preparando una grande offensiva contro di noi e bisognava stare attenti e ben preparati.
Analizzare la fonte: un percorso di lettura
A partire dalla fine degli anni Settanta l'influsso della storia sociale e della storia della mentalità hanno sollecitato un ripensamento dell'elaborazione storiografica dell'esperienza della Grande Guerra che ha contribuito a mettere a fuoco la sua centralità come evento spartiacque del secolo. Un processo al quale ha contribuito l'individuazione di fonti diverse da quelle tradizionali che permettessero di leggere i mutamenti culturali che avevano coinvolto la sfera dell'immaginario, delle rappresentazioni sociali e delle identità collettive. Il corpus della scrittura popolare sulla I Guerra Mondiale si è quindi arricchito negli ultimi anni di documenti molto diversi che vanno dagli epistolari, ai diari alla produzione memorialistica.
Il documento che viene qui pubblicato se per un verso può essere associato alla letteratura diaristica, non fosse altro per l'intenzionalità con cui lo stesso Pietro Osella indica programmaticamente il contenuto della propria scrittura, per un altro eccede la definizione di diario, inteso come una scrittura tenuta in contemporanea agli avvenimenti e ritmata dalle scansioni giornaliere. Esso si presenta, quindi, come un materiale assai più complesso e stratificato, rispetto alle scritture autobiografiche coeve alla prima guerra mondiale, in cui una serie di appunti presi nel corso degli avvenimenti giungono, attraverso la riscrittura e la rielaborazione, ad una memoria scritta solo a distanza di molti decenni.
Si tratta dunque di comprendere come leggere la complessità di un documento in cui l'evento storico ci viene restituito attraverso il filtro della soggettività individuale. La natura delle fonti autobiografiche è infatti profondamente diversa da quella delle fonti a cui siamo più familiarizzati. Esse si presentano come "oggetti culturali", a proposito dei quali lo storico inglese Robert Darnton ha scritto: "essi non sono prodotti dallo storico, ma da coloro che egli studia. Essi emanano significato. Bisogna leggerli, non contarli".
Ogni racconto implica una selezione che contribuisce a definire i confini all'interno dei quali la narrazione può assumere significato. Leggere un testo significa quindi in primo luogo riconoscerne l'organizzazione interna, le relazioni tra detto e non detto, tra parola e silenzio. Pietro partito diciannovenne per la guerra, non ci dice nulla della sua vita precedente, così come non accenna a quali conseguenze quegli eventi ebbero nel periodo successivo della sua vita. L'esperienza della partecipazione al primo conflitto mondiale ci viene presentata come messa tra due parentesi, tra una partenza e un ritorno. Una struttura narrativa che allude alla percezione di aver vissuto in due mondi assolutamente incommensurabili tra di loro. E' dunque la contraddizione che si apre tra le proprie appartenenze, il proprio mondo mentale, i luoghi abituali della vita civile e il campo d'azione del combattente a proporsi come uno degli assi centrali di significato attorno a cui si articola la memoria.
Introducendo il momento della propria partenza per il fronte Pietro scrive:"ma purtroppo è venuto il giorno 21 marzo 1917, ho dovuto anch'io partire per il fronte...". L'uso del verbo "venire" solo apparentemente allude a una relazione di semplice posterità, esso sembra piuttosto voler esprimere una sorta di estraneità di fronte all'improvviso accadere degli eventi. La guerra si rivela come una circostanza che recide ogni relazione intercorrente tra l'esperienza del singolo e lo scenario di senso che in precedenza ne garantiva legittimità e significato. La tensione tra la soggettività dell'individuo e il mondo esterno, che sta alla base di ogni scrittura autobiografica, è sottoposta, in questo caso, a un effetto di teatralizzazione, in relazione a un contesto in cui gli uomini videro annullate le possibilità di controllo su eventi che minacciavano direttamente le loro esistenze.
E' infatti significativo che questa struttura narrativa compaia in tutti i passaggi fondamentali del diario: "viene il 24 agosto 1917", "Ora a questo punto viene il 24 ottobre 1917", "purtroppo viene la mattina del 15 giugno 1918" "mentre viene il 10 luglio". Nell'impossibilità di collocare la propria esperienza in un contesto che permetta di renderla coerente e comprensibile, il racconto assume come principio ordinatore la successione cronologica degli avvenimenti. Poiché il senso sfugge all'individuo è la Storia che "viene" a fornire un senso, un significato che la narrazione ha solo il compito di esporre.
L'impressione di un evento che acquista un'autonomia e una dinamica distinta dalle intenzioni di coloro che vi concorrono fu certo ampliata dalla particolare condizione in cui si trovarono a combattere milioni di uomini, costretti tra l'immobilità passivizzante e la tensione psichica prodotta dal pericolo. Se le scritture epistolari o diaristiche scritte in contemporanea agli avvenimenti insistono sulla dimensione della guerra di trincea come un tempo vuoto, in cui l'attesa amplifica paure e inquietudini, in queste pagine l'accento sembra invece spostarsi sul secondo aspetto. La tensione si traduce in velocità, nel mutare veloce degli scenari e delle azioni. Il ritmo del tempo si sradica dalle matrici tradizionali della vita contadina fondate sulla ciclicità giovinezza/vecchiaia, notte/giorno, tempo di lavoro/tempo di riposo. La dilatazione e la scomposizione delle coordinate spazio-temporali in cui si situano le azioni del soggetto si esprime in un susseguirsi di sequenze di immagini che attraversano la scansione delle fasi principali del diario: le esplorazioni notturne, i bombardamenti, le lunghe attraversate, la massa degli sfollati, la terra bruciata, i corpi senza nome abbandonati sul campo di battaglia. Attraverso queste immagini sembra esprimersi la dimensione più lacerante dell'esperienza della guerra, l'altra faccia del racconto ritmato da sconfitte e vittorie militari codificato dalla memoria ufficiale. Esse prendono il posto del racconto, tese ad esprimere l'indicibile della guerra, quell'esperienza liminare tra vita e morte che Leed ha definito nei termini di unindustria per il macello umano specializzato. A distanza di molti anni ciò che rimane come un marchio indelebile nella memoria del soggetto, e che la scrittura tenta di arginare, è il senso di angoscia e di morte. Quegli stessi fantasmi che si possono ritrovare, sublimati e depurati, nel culto dei caduti.
Nel procedere della narrazione accanto al tempo veloce della guerra se ne incrocia un altro, quasi a fare da contrappunto al primo: è il tempo degli affetti - seppur espresso nei toni sobri e austeri tipici della cultura contadina - che trapela dall'annotazione dell'incontro con il cugino, ma è soprattutto il tempo familiare scandito dal lavoro nei campi. E' la possibilità di ricollegarsi a questa dimensione che assicura all'individuo la continuità della propria identità. Riuscire ad aiutare il padre nei "lavori del fieno" sembra essere l'unica preoccupazione di Pietro. Anche in questo caso la ricorrenza è significativa: gli accenni che appaiono in occasione delle brevi licenze sembrano in qualche modo anticipare il ritorno alla vita "borghese" con cui si conclude il diario. E' la possibilità di ricollegarsi a questa dimensione che può assicurare all'individuo qualche forma di continuità con la propria identità.
In questo modello narrativo l'andirivieni tra la rappresentazione della guerra codificata dalla memoria ufficiale e l'irrappresentabile della morte, tra il fronte e il proprio ambiente di vita, esprime sul piano dell'immaginario il conflitto tra la propria esperienza sui campi di battaglia e la propria identità. Coerentemente con questo andamento, Pietro riporta a conclusione della sua memoria il bollettino della Vittoria dello Stato Maggiore Italiano, dopo aver ricordato di aver letto sul giornale la notizia dell'Armistizio. La storia del soggetto e quella degli eventi sembrano qui mostrare in modo esplicito il conflitto che li determina.
Il racconto di Pietro Osella attraverso l'esperienza della guerra ci parla anche di qualcosa di più profondo e destinato a durare nel tempo, vale a dire dell'impatto della modernità sulla cultura contadina. L'incontro con il processo di modernizzazione è allo stesso tempo perdita e apparizione del nuovo: una modernità dispiegata nelle sue valenze di spettacolo terrificante che provoca sgomento e meraviglia, paura e stupore. L'intensità degli eventi sonori e visivi in cui Pietro si trovò coinvolto dovette essere superiore a ogni esperienza precedente. E la forza del loro impatto ci viene restituita con espressioni dense di significati: "era sempre tutto acceso dai proiettili dei cecchini", le "mitraglie che cantavano di continuo", che ci trasmettono le sensazioni ambivalenti sollevate dal dirompere di una tecnologia che avrebbe trasformato in modo irreversibile la propria percezione della realtà. La guerra è dunque qualcosa di estraneo e che, tuttavia, modifica radicalmente il proprio paesaggio mentale. Ed è lo stesso titolo che quasi ce lo rivela inconsapevolmente: a distanza di cinquant'anni da quell'esperienza per Pietro la I Guerra Mondiale continua ad essere la "Grande Guerra", quell'evento periodizzante in seguito al quale nulla sarebbe più stato come prima.
Appendice:"Vivere la guerra a casa"
Gli archivi storici ci offrono tutta una serie di documenti che, solitamente trascurati dalla grande storia, ci ricordano che la guerra ha avuto tutta una serie di conseguenze anche per coloro che non si trovarono a viverla in prima persona.
Dall'archivio comunale di Macello, senza alcuna pretesa di sistematicità, ne ho tratti alcuni, riportandoli integralmente o parzialmente, quando alcune parti mi apparivano noiose o inutili. Si tratta soprattutto di due specie di documenti: quelli ufficiali (circolari, proclami governativi, e di associazioni) e quelli privati, compilati cioè da singoli cittadini (lettere perlopiù); per questi ultimi ho ritenuto, nella maggior parte dei casi, di dover omettere i nomi, lasciando solo le loro iniziali puntate, nel rispetto delle persone che ho citato.
Come è noto, con lo scoppio della guerra, alla propaganda interventista sui giornali, fecero immediatamente eco una serie di pressioni del governo sugli organi provinciali, affinché questi predisponessero un'adeguata propaganda a sostegno del conflitto. Riportiamo qui di seguito una missiva al sindaco di Macello della Deputazione Provinciale di Torino e l'allegata pubblicazione propagandistica destinata agli agricoltori piemontesi. Dei due documenti il secondo, oltre che per essere un classico esempio di testo propagandistico, è assai interessante perché sembra presagire fin dall'inizio una lunga durata del conflitto e individua, di conseguenza il ruolo che i contadini a casa dovranno avere nella prospettiva di una guerra di logoramento ("Voi dovete procurare anche con sacrificio, che non diminuisca la produzione del suolo, poiché, come ci ammonisce l'esempio di altre nazioni belligeranti, uno dei coefficienti importantissimi di resistenza e di vittoria è la sufficienza delle sostanze necessarie all'alimentazione"); in secondo luogo mette in evidenza la centralità che le donne verranno ad assumere via via nel corso del conflitto ("Sollevate gli uomini dalle cure del governo del bestiame e procurate di coadiuvarli, ed occorrendo di sostituirli, nella esecuzione di tutti quei lavori che anche con sacrificio vi riesca di sopportare... dopo la mobilitazione militare ovunque si incontrano donne robuste, sagge e volenterose, le quali sfrondano i gelsi, falciano i prati, aggiogano il bestiame e lo guidano, irrorano le viti e maneggiano la zappa gareggiando coi migliori lavoratori"), elemento, quest'ultimo, più volte rimarcato dalla recente storiografia.
Egregio signor sindaco Torino, 25 giugno 1915
E' opportuno che penetri nella coscienza popolare la convinzione che la guerra fu determinata non soltanto da idealità patriottiche, ma anche e specialmente dalla necessità di difendere l'integrità della Nazione, di tutelare il comune benessere del Paese contro gli attacchi dello straniero, contro prossimi tentativi di barbariche invasioni preparate da lungo tempo e preannunziate dal minaccioso contegno dell'Austria verso l'Italia negli scorsi anni.
Perciò la deputazione provinciale ha stabilito di divulgare nei comuni della nostra provincia il chiaro e persuasivo discorso pronunziato in Campidoglio dall'on.Salandra, Presidente del Consiglio dei Ministri, nel modo stesso in cui la Camera dei Deputati ordinò la diffusione dell'ispirato discorso dell'on.Boselli, che il Consiglio provinciale di Torino ha l'onore di avere a suo Presidente.
Le trasmetto due copie del predetto discorso Salandra, con preghiera di farle affiggere all'albo pretorio.
Contemporaneamente Le invio due pubblicazioni stampate a cura dell'Istituto Nazionale per le Biblioteche dei Soldati: l'una contiene suggerimenti alle famiglie degli agricoltori richiamati sotto le armi, l'altra è indirizzata agli emigranti.
Ella si compiaccia far distribuire fra gli abitanti di cotesto Comune, gli esemplari di tali due pubblicazioni, facendone pure affiggere alcune copie nell'albo pretorio.
Con stima, Il Presidente E.Borgesa
ISTITUTO NAZIONALE PER LE BIBLIOTECHE DEI SOLDATI
Fondato nel 1908
Sede. Torino, Piazza Statuto, 17
GLI AGRICOLTORI PER LA DIFESA DELLA PATRIA
Siete voi, o agricoltori, che formate il nucleo più forte della popolazione italiana, che fecondate col vostro lavoro la fonte più cospicua della ricchezza nazionale, e che siete più intimamente legati alle sorti della patria [...]
Difendere il suolo patrio vuol dire in questo momento difendere i vostri interessi contro la minaccia della oppressione straniera, difendere i vostri campi, le vostre case, le vostre donne, i vostri figli da nemici barbari, che sono l'obbrobrio della civiltà [...]
Confidate nel valore dell'esercito e dell'armata, essi combattono per causa giusta e santa, e la vittoria non può mancare. Ai vostri figli, ai vostri fratelli che rispondendo all'appello del Re e della Patria lasciano i campi arati per recarsi alle trincee infondete tutto il coraggio che inspira l'amore, ed assicurateli che durante la loro assenza raddoppierete lo zelo e l'operosità affinché tutti i lavori campestri si compiano a tempo e nel modo che si richiede per ottenere raccolti buoni e abbondanti. Scrivete sovente ai vostri soldati, specialmente per dar notizie dei bambini e dei vecchi genitori. Informateli minutamente delle vicende campestri, dell'andamento delle colture, del risultato dei singoli raccolti [...] Se non sapete o non avete agio a scrivere ricorrete a qualche persona amica, al segretario comunale, al maestro, al parroco, od a qualche buona signora; ma assolutamente non lasciate passare alcuna settimana senza mandare notizie ai vostri soldati.
E non abbiate la pretesa che essi vi rispondano subito. [...] Non bisogna allarmarsi se le risposte tardano a venire, e soprattutto non bisognare dare ascolto a tutte le notizie strampalate che si mettono in giro dagli sciocchi, dagli sfaccendati e non di rado anche dai maligni. Ricordate il proverbio dei contadini toscani: "In tempo di guerra più bugie che terra".
Mentre i soldati combattono sui campi della gloria un dovere non meno patriottico si impone a voi, o agricoltori che rimanete alla custodia dei vecchi e dei bambini, delle case e dei campi. Voi dovete procurare anche con sacrificio, che non diminuisca la produzione del suolo, poiché, come ci ammonisce l'esempio di altre nazioni belligeranti, uno dei coefficienti importantissimi di resistenza e di vittoria è la sufficienza delle sostanze necessarie all'alimentazione.[...]
I lavori che non sono strettamente necessari si possono tralasciare, e dovunque sia possibile si dovrà ricorrere per i lavori urgenti, come la fienagione e la mietitura alle macchine. Una falciatrice od una mietitrice meccanica fa il lavoro di dieci persone, e dove non manchi il bestiame si può far lavorare anche di notte.[...]
Bisogna poi che gli agricoltori di ogni frazione o borgata si accordino per aiutarsi reciprocamente, per compiere anche con disinteresse qualche lavoro indispensabile, per impedire che nel campo o nella vigna di qualche povera donna sola, o di qualche famiglia rimasta senza uomini validi, il raccolto per mancanza di cure vada perduto. [...]
Una importante missione è riservata anche a voi, o donne campagnuole.
Voi che siete le regine della casa, e che sapete i segreti dell'economia domestica, dovete vigilare con somma cura affinché nulla vada perduto di quanto si può utilizzare per l'alimentazione degli uomini e degli animali. Sollevate gli uomini dalle cure del governo del bestiame e procurate di coadiuvarli, ed occorrendo di sostituirli, nella esecuzione di tutti quei lavori che anche con sacrificio vi riesca di sopportare.
Nelle epoche normali solo in qualche regione ove gli uomini abitualmente emigrano si vedevano le donne sottoporsi ai lavori più faticosi; ma dopo la mobilitazione militare ovunque si incontrano donne robuste, sagge e volonterose, le quali sfrondano i gelsi, falciano i prati, aggiogano il bestiame e lo guidano, irrorano le viti e maneggiano la zappa gareggiando coi migliori lavoratori.[...] Quando i nostri soldati ricevendo al campo le lettere della famiglia apprenderanno che mercé l'abnegazione delle spose e delle sorelle i lavori dei campi non soffrono interruzione ed i raccolti sono assicurati, avranno più saldo il braccio e l'animo più sereno, e più riboccante il cuore di affetto per la famiglia e per la patria.
Nel corso del conflitto la propaganda affinò notevolmente i suoi strumenti e sorsero enti che si occupavano specificamente di questo aspetto. Il documento presentato qui di seguito, del 12 Ottobre 1918, è realizzato da uno di questi enti (OPERE FEDERATE DI ASSISTENZA NAZIONALE) e mi è parso particolarmente significativo per una serie di ragioni: innanzitutto perché, gli autori del testo guardano già al dopoguerra, alla necessità di consolidare l'idea di una guerra "giusta" nonostante i milioni di morti nelle trincee e individuano tra i vari destinatari delle propaganda, due categorie alle quali appoggiarsi, il clero e gli insegnanti; in secondo luogo, per la considerazione, praticamente nulla, che il documento ci offre delle masse contadine ("Anime semplici e rozze: come non hanno potuto comprendere le ragioni della guerra e gli scopi da raggiungere così non possono oggi immaginare il pericolo di perdere ... il compenso dei loro patimenti") e per i toni aspri e assurdi che, dopo tre anni di guerra e la quasi certezza della vittoria, il testo assume ("Iddio è con noi..."); infine perché nel documento, che non mette mai minimamente in dubbio la lealtà del clero, emerge invece una piccola forma di dissenso che dovette essere presente tra alcuni insegnanti ("Molti insegnanti furono, durante questi anni di guerra veramente maestri e maestri sublimi, ma non tutti").
AI COMMISSARI DELLE "OPERE FEDERATE"; ALLE AUTORITA' LOCALI; AGLI INSEGNANTI; AI DIRIGENTI LE OPERE DI ASSISTENZA CIVILE; A TUTTE LE RAPPRESENTANZE MASCHILI E FEMMINILI
Gli avvenimenti della guerra precipitano; la bilancia della giustizia pende dalla nostra parte; i popoli dell'Intesa stanno per raccogliere il frutto dei sacrifici magnanimi e della fede incrollabile nella santità della loro causa. [...]
Da più di tre anni dura il martirio; l'impazienza di vedere la fine dei mali orrendi, giusta e santa per tutti, è grande soprattutto nelle anime semplici e rozze: come non hanno potuto comprendere le ragioni della guerra e gli scopi da raggiungere così non possono oggi immaginare nella perfidia dei nemici il pericolo di perdere con una imprudenza d'illusione intempestiva il compenso dei loro patimenti ineffabili.
Occorre che tutte le persone le quali hanno influenza sull'anima del popolo raccolgano in questo momento la coscienza della loro responsabilità.
Le AUTORITA' LOCALI scelte dalla fiducia dei voti del popolo sappiano mostrarsi degne della loro funzione guidando saggiamente i propri amministrati a considerare quella che deve essere la mèta del benessere popolare presente e futuro. A qualunque parte appartengano, dichiarino l'evidenza di questa verità semplice e fondamentale, che ciascun cittadino e ciascun partito riceverà dalla guerra guadagno adeguato al contributo che avrà portato alla vittoria comune.
I MEMBRI DEL CLERO, che hanno la cura delle anime e conoscono il segreto per far vibrare le intime fibre del cuore umano, sappiano trovare ancora una volta nelle parole e nelle promesse del Cristo gli argomenti più alti per cui il sacrificio diventa voluttà di olocausto, e la pena individuale si sublima nella visione del bene che deriverà ad altri, e i rigori dei decreti divini si accettano con rassegnazione illuminata dalla fede. Dicano ai fedeli, dall'altare e dal pergamo, che oggi Iddio è con noi e noi non dobbiamo turbare lo svolgersi sublime dei disegni divini colla petulanza di umane impazienze. [...]
Io dico ai COLLEGHI INSEGNANTI: sappiamo elevare noi al di sopra di noi stessi. E' questa l'ora di dichiarare ciò che vogliamo essere nella pubblica estimazione, è l'ora di mostrare che la nostra voce non è soltanto la ripetizione fredda di piccoli insegnamenti e di aride dottrine ma è palpito di azione, che la scuola nostra non è soltanto nell'aula dove si raccolgono gli alunni ma è faro di luce per tutti e dovunque noi siamo.
Nessuno meglio di noi, privilegiati della coltura e avvezzi al quotidiano esercizio didattico, è adatto per parlare all'anima semplice del popolo, per snebbiarne le oscurità. Una parola di fede e di amore che commuova i nostri alunni ha sempre eco nelle loro famiglie e può ripetere eco di conforto anche tra i combattenti. Molti insegnanti furono durante questi anni di guerra veramente maestri e maestri sublimi, ma non tutti; occorre oggi l'opera e il supremo sforzo cosciente di tutti per la salvezza e la fortuna della Patria che sono appunto salvezza e fortuna di tutti.
AI DIRIGENTI LE OPERE DI ASSISTENZA, ALLE RAPPRESENTANZE MASCHILI E FEMMINILI, AI CITTADINI TUTTI DI BUONA VOLONTA' E DI CUORE SALDO la Patria ammonisce di compiere con stoicismo altero l'opera generosa che in questi anni ha illuminato con tante luce la filantropia e la coscienza italiana. Sia più fervida e intensa che mai l'assistenza ai combattenti e alle loro famiglie, assistenza non solo materiale ma spirituale; anche le parole affettuose e i consigli possono valere un tesoro! [...].
Su suggerimento degli editori, ho inserito anche il documento successivo che, non essendo propriamente un esempio di propaganda a sostegno del conflitto, a prima vista, mi era sembrato di scarsa considerazione. In realtà, rileggendolo, mi è parso un significativo indizio della povertà culturale che animava alcune iniziative filantropiche e paternalistiche di certi settori dell'aristocrazia italiana: il comunicato, promosso da un comitato che fa capo nientemeno che a Don Augusto Torlonia, principe di Civitella e Tesoriere del comitato, si propone infatti di raccogliere fondi per acquistare sigari ai soldati.
Mi pare evidente che i promotori dell'iniziativa avessero scarsa percezione di quale fosse la vita di trincea: il diario di Pietro, che era un fumatore, ci manifesta infatti tutta una serie di bisogni ben più urgenti di quello del fumo. Lo stesso stile usato nel testo ("[...] sotto la tenda, quando cala la sera, il soldatino che ha fatto il giorno il suo gran dovere verso la Patria...") fa piuttosto pensare che i suoi estensori, nonostante il conflitto in Europa fosse scoppiato già da un anno, siano ancora legati a un'immagine di guerra modellata sulle iconografie delle battaglie risorgimentali, al termine delle quali era forse possibile concedersi un pensiero alla famiglia fumando un buon sigaro.
COMITATO NAZIONALE PEI SIGARI AI COMBATTENTI
Sotto gli auspici della "Pro Italia"
Roma, Via Colonna 52 16 giugno 1915
Questo Comitato si propone lo scopo di raccogliere fondi per provvedere alla fornitura dei sigari pei nostri bravi soldati che combattono al confine.
Tale scopo può parere, a tutta prima, frivolo, e anche poco degno di poema e di storia; ma vi preghiamo di credere che, in realtà, esso è di suprema importanza.
Di suprema importanza, perché risponde ad uno dei più irritanti, continui bisogni, e nello stesso tempo ad uno dei bisogni meno possibili a placare in campo, se non soccorra l'affettuosa, intelligente premura dei lontani. Il sigaro, voi sapete, è altrettanto necessario a chi fuma, quanto l'acqua a chi ha sete. E poiché i nostri soldati fumano tutti, è urgente non far loro mancare il sigaro, come non si dovrebbe far loro mancare l'acqua se avessero sete. Noi dobbiamo studiarci di evitare ogni sofferenza ai nostri soldati. E la mancanza del sigaro sarebbe una grande sofferenza. Siamo tutti d'accordo in questo?
Se siamo d'accordo, sono inutili molte parole.
Le parole hanno efficacia quando servono a eccitare le profonde passioni dormienti o ad illustrare le ardue questioni incomprese. Ma quando si tratta di cose semplici, di semplici bisogni abitudinari, basta l'enunciazione di essi per convincere le anime pietose dell'assoluta necessità degli immediati provvedimenti. E qui specialmente "anime pietose", intendiamo le anime di tutti i fumatori d'Italia, che sono certamente le più adatte a comprendere il significato morale della manna del deserto, quando pensino alla gratitudine che proverebbero per lo sconosciuto errante che lasciasse cadere lungo la via senza fabbriche di tabacco e senza rivendite un sigaro lungamente desiato! Noi non saremo l'errante sconosciuto per i nostri fratelli del campo.
Provvediamo dunque anche ai sigari, per i nostri fratelli del campo! Sigari per la battaglia. E sigari per il riposo.
Voi sapete che i nostri Alpini, questi gloriosi difensori delle Porte d'Italia, questi silenziosi eroi dei nostri valichi e delle nostre cime, possono combattere anche 48 ore senza toccare il loro rancio, se hanno una cicca fra i denti da masticare. Ebbene, vorreste voi far mancare la prediletta cicca ai nostri Alpini mentre tirano l'estremo colpo contro l'aquila bicipite, che ancora ingombra il nostro cielo?
E voi anche sapete che, sotto la tenda, quando cala la sera, il soldatino che ha fatto il giorno il suo gran dovere verso la Patria, corre col desiderio dietro l'azzurra spirale del suo sigaro alla piccola casetta lontana dove la dolce famiglia pensa e parla di lui... E vorreste voi privare di quest'ora di sogno e di fantasia il nostro soldatino?
Vedete dunque, lo scopo del nostro Comitato, che a tutta prima, potrebbe apparire frivolo, è alto e nobile quanto tutti gli altri che si propongono di lenire le fatiche e i disagi del nostro esercito in guerra, ed è anche pieno di un suo profondo senso umano e di poesia!
Ma poiché ci siamo intesi e siamo oramai tutti d'accordo nel fine, provvediamo ai mezzi.
Voi forse, senza accorgervene, avrete letto fino a questo punto col sigaro in bocca il nostro manifesto. Ebbene, vuotate il vostro portasigari e il vostro portasigarette - perché ci vogliono anche le sigarette - per i nostri soldati. E anche il vostro portamonete, e quello dei vostri amici, o nemici di ieri: oggi non sono più nemici fra italiani e italiani.
E mandateci molto denaro! Perché i soldatini sono molti e hanno bisogno di fumar molto in faccia allo straniero insolente!
Aspettiamo dunque fiduciosi il vostro concorso.
Le offerte dovranno essere inviate alla "Pro Italia" in Roma - Via Colonna 52 p.p. - con vaglia diretto a Don Augusto Torlonia Principe di Civitella Cesi, Tesoriere del Comitato.
IL COMITATO
Dopo i toni enfatici della propaganda diamo ora voce alle persone. La richiesta di sussidi, da parte di mogli o di parenti di militari in guerra è sicuramente uno dei documenti più straordinari per comprendere appieno il clima di miseria in cui vennero a trovarsi i nostri contadini durante la guerra: situazione certamente non nuova nelle nostre campagne ma ulteriormente aggravata dalla perdita degli uomini inviati al fronte, le cui braccia erano per molte famiglie, specie per quelle dei massari, l'unica risorsa sulla quale si era fondata fino a questo momento un'economia contadina fatta di stenti.
A giudicare dalle carte contenute nell'Archivio Comunale di Macello, furono erogati numerosi sussidi, ma l'assegnazione non fu sempre regolare come mostrano queste due lettere:
Egregio Signor Sindaco
Col dovuto rispetto mi rivolgo alla S.V. desideroso di conoscere il motivo della decisione presa verso di me, a riguardo della sospensione del sussidio che a mio modo di vedere spetterebbe a mia moglie con un figlio unito, a mia madre che è oltre i 63 anni. Colle 75 lire che percepiscono tutt'oggi in qualità di cantoniere stradale, le faccio con rispetto presente, che non sono sufficiente per mantenere sia pure stentatamente, e pagare l'affitto per la madre e moglie con figlio. Vengo pure a conoscenza che altri miei compagni che percepiscono la paga di ottanta e chi ottantacinque lire mensili, non si trovano nelle mie condizioni identiche.
Umilmente sono a pregare le S.V. di degnarsi di prendere in considerazione la mia supplica. Speranzoso la S.V. farà il possibile per esaudirmi. La ringrazio fin d'ora e mi creda di lei umile servo.
Milano 4.7.1915 N.F. Soldato al 7° Reggimento Fanteria 4a Compagnia Deposito
Se avete colto il tono umile e dimesso, notate come, in questa lettera, scritta 6 giorni dopo, il tono cambi e, nel finale, si faccia addirittura minaccioso:
Ill.mo sig. Sindaco
Mi onoro accusar ricevimento del pregiato foglio n.354 del 6 corr. per il quale porgo dovute grazie.
In merito al sussidio che codesto on. Comune intenderebbe esimersi dal corrispondere alla mia famiglia, mi permetto far rispettosamente osservare che il fatto che l'On.Amministrazione Provinciale mi passi lo stipendio, quale suo dipendente, non giustifica punto l'atteggiamento del Comune in parola, sentimenti patriottici a parte.
1° Infatti l'on.Comando del 7° Fanteria per casi simili al mio, decise senz'altro che spettasse ugualmente il sussidio stabilito dal Regio Governo
2° Identica conforme disposizione è stata adottata dall'On.Comune di Milano.
3° Vi ha inoltre una circolare a firma Salandra la quale dispone tassativamente che il fatto che una Amministrazione Pubblica o Privata corrisponda ugualmente lo stipendio per l'intera durata della guerra non esime gli On.Comuni dall'erogare il sussidio stabilito a termini di legge.
L'On.Amministrazione Comunale in parola, avrà in possesso protocollata detta circolare ed in caso di dispersione potrà richiederne sempre copia alla R.Prefettura.
Non dubito che Ella On.Sig.Sindaco vorrà ristudiare la mia pratica e ne attendo in breve volgere di giorni la favorevole decisione.
Mi dorrebbe gravemente se, non essendo esaudito, dovessi denunciare all'On.Comando del mio Reg.to e contemporaneamente all'On.Prefetto di Torino, il trattamento irregolare fattomi.
Al riguardo dei ritardati sussidi ai militari, riguardanti il tempo di guerra, ricordo che altra telecircolare, pure a firma di Salandra, avverte i sig.Prefetti a dare stretto conto dell'erogazione del sussidio in proposito.
Le condizioni finanziarie della mia famiglia sono tutt'altro che floride e pertanto ho fiducia di ricevere un favorevole riscontro.
In quest'attesa colgo la grata occasione per confermarmi devotissimo
Milano 10.7.95 N.F.
Di tenore ben più umile è invece la lettera di questa contadina, che denuncia al sindaco le proprie condizioni economiche e richiede il sussidio:
Io mi presento con questa domanda alla S.V. per avere il sussidio; il mio marito è partito alle armi e ora non ho più nessuno che pensa per me; siamo soltanto poveri massari che abbiamo niente che le braccia per lavorare se Dio ne concede la salute; da casa mia ho niente e qui li altri non sono obbligati a lavorare per me: se essi mi vorrebbero fare fuori di casa, che cosa sono io?
Mi firmo P.L. Cascina R.
Le preoccupazioni di questa donna, di trovarsi da un giorno all'altro in mezzo alla strada, non dovevano essere poi così ingiustificate, se si osserva che altre lettere, come quella che segue, denunciano effettivamente situazioni del genere:
Rispettabile commissione
Il sottoscritto C. N., d'anni 36, padre di quattro bimbi col maggiorenne di 9 anni, ed il padre di settant'anni dichiara che non si sente assolutamente capace di sopportare pesi del mantenimento della mia cognata e dei quattro bimbi. Perciò, se non goderanno il suo sussidio governativo, io dovrò invitarli ad uscire di casa. La prego di voler scusare il mio ardire La saluto ringraziando
Queste lettere ben esprimono il disagio che le donne dovettero sostenere durante il primo conflitto mondiale, ma mostrano solo in parte le conseguenze dello stravolgimento dei compiti e dei ruoli all'interno della famiglia contadina, come mette in luce invece una testimonianza proveniente dalla Pianura Padana:
In quegli anni di guerra le donne contadine e braccianti, quando tornavano a casa dopo una giornata di duro lavoro compiuto per sostituire gli uomini, potevano anche trovare i loro neonati morti nelle culle. Invano i piccoli piangevano nelle luride stanze delle case coloniche, invocando la mamma. Questa era lontana nei campi, a caricare erba e fieno insieme ai ragazzi, e non sarebbe potuta tornare a casa fin quando l'erba non fosse tutta falciata e il carro carico per il bestiame. Invano i bambini agitavano le manine per difendersi dalle mosche che, attirate dall'odore di latte, entravano nella bocca, si posavano sugli occhi, nelle orecchie. Nelle decrepite bicocche dei contadini, dagli infissi sconnessi e senza vetri, come a casa mia, le mosche entravano a nugoli propagando ogni sorta di malattie infettive.
Man mano che la guerra prosegue, anche in materia di sussidi, fanno la loro comparsa gli speculatori. Una lettera scritta al sindaco da L.Barbera, uno dei notabili del paese, denuncia apertamente come, anche in momenti di grave necessità e difficoltà, l'egoismo individuale tenda a prendere il sopravvento e si verifichino sperequazioni e ingiustizie. Si tratta di un documento straordinario che mostra con grande lucidità le difficoltà che operai e contadini si trovarono a vivere nei mesi che precedettero la disfatta di Caporetto:
Pinerolo 25.1.1917
Illustrissimo signor sindaco, nell'inviarle l'adesione alla sottoscrizione in favore delle famiglie dei nostri soldati, per la somma di lire 20 che le farò pervenire alla prima occasione, mi permetto di sottoporre al giudizio della S.V. e degli Egregi Componenti il Comitato d'Assistenza civile, alcune mie considerazioni di cui si terrà il conto che si crederà.
Anzitutto se vi sono effettivamente famiglie che soffrono nella indigenza per causa della guerra, mi pare opportuno che il Comune si valga senz'altro della facoltà concessagli dal Decreto Luogotenenziale e imponga un contributo: tutti debbono concorrere all'opera santa di alleviare la sofferenza delle famiglie dei valorosi che si espongono ai peggiori bisogni e ai più gravi pericoli per difenderci.
Col sistema delle oblazioni volontarie vi è chi dà e chi non dà; e vi è chi non dà nella misura dovuta. Nella distribuzione dei sussidi poi occorrerebbe procedere con la massima oculatezza e tenere presente che i bisogni delle famiglie non sono uguali.
Così la condizione della famiglia di un operaio che presti l'opera sua nelle fabbriche al munizionamento è relativamente buona rispetto a quella di chi si trova in zona di guerra, per la differenza fra l'alta mercede corrisposta il primo e la modesta indennità che la legge fissa per la famiglia del secondo.
Inoltre i danni materiali cagionati dalla guerra sono maggiori per le famiglie operaie che per le famiglie degli agricoltori; per le quali ultime il danno recato dall'alto prezzo della manodopera è largamente compensato dall'alto costo dei prodotti della terra.
La distribuzione della somma raccolta per lo stesso scopo l'anno scorso ha dato luogo a lagnanze e proteste delle quali alcune non infondate. Io stesso mi meravigliai di veder considerate come indigenti persone lo stato economico delle quali è notoriamente ottimo: e più mi meravigliai che quelle famiglie non comprendessero come meglio avrebbero provveduto alla loro dignità e rispettato le norme dell'equità rifiutando un soccorso di cui non avevano bisogno e che avrebbe assottigliato la parte dei veramente bisognosi. Proteste e lagnanze queste che stillano nell'animo dei ladroneggiati l'amarezza e generano nell'animo di tutti il sospetto che inaridisce le fonti della beneficenza. Mi voglia perdonare, signor sindaco, la mia franchezza: il momento che il Paese attraversa impone che ogni cittadino nell'ampia o angusta cerchia della sua attività dica e operi quanto l'amor di patria gli suggerisce.
Con Osservanza L.Barbera
Le osservazioni di Barbera, man mano che le condizioni si aggravavano con il proseguimento della guerra, dovettero comunque dare adito ad una maggiore attenzione nella destinazione dei sussidi alle famiglie. In un documento del 1918, la Commissione addetta all'assegnazione dei sussidi su 17 domande pervenute, ne respinge 5; le motivazioni confermano le lamentele di Barbera: "essere proprietario di una discreta proprietà fondiaria e la famiglia di lui tutta al lavoro", "per non trovarsi in condizioni bisognose via finanziariamente, via per quanto riflette la sua famiglia, non priva di uomini validi al lavoro, quantunque abbia il figlio alle armi"; ecc.
Appendice seconda: una lettera scritta dopo la disfatta di Caporetto
Dopo la pubblicazione della prima edizione del libro sono venuto in possesso di questa lettera, che Pietro scrisse dal fronte dopo Caporetto. Il testo, al di là di alcuni di sintassi che non emergono nel diario, scritto posteriormente, è interessante per una serie di ragioni. Innanzitutto arricchisce il quadro che ci siamo fatti di Pietro mostrando una devozione religiosa che dalla lettura del diario non emergeva nettamente. In secondo luogo per l'orizzonte mentale che il testo mostra, per nulla rivolto agli eventi della guerra e invece interamente investito sugli affetti familiari e su riferimenti a Macello: significativo, in proposito è il paragone tra un piccolo torrente quale il Chisone e un fiume come il Piave che Pietro definisce "uguali". Infine è evidente che, la mancanza di qualsiasi riferimento a quanto era accaduto a Caporetto, dimostra come, dopo due anni di guerra, le regole della censura abbiamo finito per educare i soldati ad una consapevole autocensura, che avrebbe poi trovato sfogo nella produzione di diari.
Indirizzo: 18° Reggmento Bersaglieri III Compagnia. Reparto Zappatori zona di guerra.
Zona di guerra 20.11.1917
Cari genitori, vi faccio l'arrincontro alla vostra lettera che ho ricevuto ieri il quale mi ha fatto contento che state tutti bene e così, grazie a Dio, posso assicurarvi anche della mia ottima salute, per il momento.
Cari genitori voi mi dice che stavi già molti in pena che non avevi più notizie ma non è causa mia; le poste in questi giorni credo che era una fortuna perché nemmeno noi non abbiamo più avuto niente posta da nessuna ma, pazienza.
Voi mi dite che mi scrivete due lettere alla settimana e io ne ho avuta una che mi avete scritto voi il 27 del 10 e poi ho avuto questa lettera ieri che mi avete scritto l'11 di questo mese ma ogni modo basta che ci sia la salute e poi tutto va bene.
Cari genitori voi mi dite che in questi giorni forse avevo passato dei brutti giorni ma, cari genitori, non pensate male per me che io non me la passo poi tanto male; in questi giorni sono stato solo due volte al pericolo ma grazie a Dio mi ha sempre liberato e sono contento che mi avete detto che fate celebrare delle funzioni di ringraziamento; la medaglia che ho al collo la tengo per memoria e sarò riconoscente con la madonna della consolata se mi dà la fortuna di ritornare sano e salvo ora che sono in riposo e spero di starci molto tempo. Basta voi non state in pena per me se ferito poi di scrivere che verrà delle poste e se Dio vuole di darvi buone notizie.
Ora vi faccio sapere che sono in Italia, sono verso Treviso e sono a un fiume che si chiama Piave; è come il Fiume del Chisone e il fronte è qui. Ma noi zappatori speriamo di star meglio, fino adesso il Signore mi ha sempre fatto passare il tempo ancora bene e così spero per l'avvenire. Son contento che mi avete dato anche notizie buone del cognato; io da qui non so più niente. Tanti saluti al cognato da parte mia, come se la passa? Basta, cari genitori, per ora vi lascio coi più sinceri saluti e tanti baci, sperando di sempre darvi buone notizie se Dio vuole; vi lascio i saluti ai padroni, l'altra volta non li ho dati perché credevo che fossero già a Torino e tanti saluti ai sig.ri Beruto e tanti saluti ai parenti e tanti a Bertone Andrea che mi dice che è in convalescenza a Airgli, che starà molto tempo qui a casa. Basta. Addio, addio, vi stringo la mano, sono il vostro figlio Pietro, ciau.