UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI TORINO- FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA

TESI DI LAUREA IN STORIA DEL DIRITTO ITALIANO

RICERCHE SULLA COMUNITA' E SUL FEUDO DI MACELLO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AI BANDI CAMPESTRI

Relatore: chiar.mo prof. Isidoro SOFFIETTI

Candidato: Massimo GANDI

Anno Accademico 1992/1993

  • INDICE

    CAPITOLO 1

    Brevi cenni storici sul paese di Macello.

    1.1: Le prime notizie

  • 1.2: Le infeudazioni

  • 1.3: La famiglia dei Solaro

    1.4: L'organizzazione amministrativa nella prima metà del 1700

    CAPITOLO 2

    I bandi campestri e politici in generale.

    2.1: Origine ed oggetto dei bandi campestri e politici

    2.2: Procedure di formazione ed approvazione dei bandi

    CAPITOLO 3

    I bandi campestri del 1711-1719.

    3.1: Le prime versioni

    3.2: La versione definitiva e le sue differenze rispetto alle precedenti

    3.3: Le modifiche apportate dalla formula di interinazione

    CAPITOLO 4

    I bandi campestri del 1736-1737.

    4.1: Notizie generali

    4.2: La versione interinata

    4.3: Le modifiche apportate rispetto alla stesura primitiva

    CAPITOLO 5

    I bandi campestri e politici del 1847-1853.

    5.1: Il foglio-notizie della provincia di Pinerolo

    5.2: La struttura della versione definitiva

    5.3: I capitoli iniziali della prima stesura

    5.4: La versione definitiva

    5.4.1: I bandi campestri

    5.4.2: I bandi politici

    APPENDICE DOCUMENTARIA

    Tenor de bandi campestri fatti dalla Magnifica Communità di Macello da osservarsi dalli signori Castellani, Chiavarii, et Custodi della campagna che saranno deputati nell'Essatione, e pagamento da farsi de medesimi (1718-1719)

    Bandi Campestri da osservarsi nel luogo di Macello, e Suo territorio (1737)

    Bandi Campestri, e Politici della Comunità di Macello (1850)

    BIBLIOGRAFIA

  • FONDI ARCHIVISTICI CONSULTATI

    CAPITOLO 1 

    BREVI CENNI STORICI SUL PAESE DI MACELLO

    1.1 Le prime notizie.

    Raramente gli storici si sono occupati di questo paesino del Pinerolese: oltre, naturalmente, al Casalis troviamo qualche raro accenno nelle opere di alcuni autori piemontesi, particolarmente attenti alle vicende di Pinerolo e del suo circondario.

    Utilizzeremo quindi le informazioni che ci vengono fornite dal Durandi, dal Caffaro, dal Guasco, dal Bollea, e da pochissimi altri.

    Su una cosa tutti gli autori concordano: il nome "Macello" deriva dalla tribù dei Magelli, primi abitatori della zona che si estende tra il fiume Pellice ed i torrenti Lemina e Chisone.

    Minor concordia si trova invece quando si tratta di datare le prime menzioni del paese propriamente detto: se unanimemente si ricordano i primi due documenti ufficiali in cui il luogo viene nominato curte Magello e loco Macello, cioè un diploma regnante domno nostro Berengario anno II indictione VII, quindi dell'anno 889, ed un altro regnante domno Rodulfo rege anno IV indictione XII, quindi dell'anno 924, le discordanze tra le fonti si trovano quando si tratta di datare il diploma di Corrado il Salico, nel quale si fa conferma ai marchesi Bosone e Guidone II, figli di Arduino IV, di molte terre, tra cui Magedellum, o Macedellum, che per taluno risale al 1016 e per altri invece al 1026.

    Si hanno poi altre menzioni durante il medio evo: nel 1072 Enrico, figlio di Anselmo, e sua moglie Aldedia, figlia di Guiberto, in uico de Mazadello, donano un manso sito nello stesso loco et feudo...de Mazadello all'abbazia di Cavour; nel 1091 Azzo, figlio di Oggero, lascia un altro manso ed un sedime in loco Mazadello alla stessa abbazia; alla fine del sec. XI abbiamo una donazione in cui si parla di un fondo sito in loco de Mazael et in finibus eius; nel 1132 Manfredo di Luserna offre alle monache di San Pietro in Torino tutti i suoi diritti di signoria sulle terre che esse possedevano in Macello; quindi nel 1159 l'imperatore Federico I conferma al vescovo di Torino, Carlo, la corte chiamata Macedello.

    Ma il paese di Macello viene ricordato anche nel secolo successivo: in una carta del 1232, custodita a Pinerolo, si tratta dei confini de Maçaello, Osasco e Bricaraxio.

    Nel 1255 il vescovo di Ivrea, Giovanni, ed il conte di Mazzè, Rainerio, rimettono ad un canonico eporediese, Bonifacio, il loro litigio super decima et occasione decime et decimaria de Macaello; litigio che prosegue nel tempo, tanto è vero che lo stesso vescovo, nel 1259, fa autenticare le deposizioni dei testimoni prodotti nel 1255 contro il signor Rainerio di Mazzè circa decimam de Mazaello, decima che consiste in segala, avena, biada, frumento, fave e vino (il che dimostra una buona diversificazione delle attività agricole). In questo documento appare il sacerdos Martinus de Mazaello, ed il luogo ricorre in queste frasi: in ayra ecclesie Mazaelli...ecclesia Mazaelli...magistro Jacobo clerico Mazaelli.

    Nel 1277 i Bersatori di Pinerolo vendono una terra giacente in territorio Macelli de suptum vadum salicis (?) al monastero di Belmonte, e dieci anni dopo è ricordata una terra in territorio Pinarolii prope viam Maçaelli.

    Gli accenni a questo luogo continuano nel XIV sec.: il 3 marzo 1318 Caterina di Vienna concede agli uomini del paese di derivare dal Chisone un beale che passerà per il Monastero (ora Abbadia Alpina), Miradolo, Pinerolo ed Osasco.

    Nei conti esattoriali di Pinerolo del 1332 si ha questa indicazione: Item qui debentur pro adiutorio dato pro ponte Lemine eundo versus Macellum. ll. XXV.

    Quindi, nel 1368, Filippo di Acaia concede il castello di Macello ad Antonio di Romagnano, che era stato spogliato del castello della Gerbola (oggi la Torrazza presso Saluzzo). Nel 1386 appaiono due chiese, S. Marie Magdalene de Mazello e S. Bartholomei de Mazello, che diventeranno tre nel 1584, con la costruzione della chiesa di S. Giovanni Battista.

    1.2 Le infeudazioni.

    Quasi tutte le fonti concordano nell'assegnare ai signori di Pinerolo, e segnatamente al ramo dei Bersatori, la prima signoria sul paese, data probabilmente dall'abate di Santa Maria attorno al XII secolo.

    L'infeudazione successiva avviene nel 1324, ad opera dei conti di Savoia (che ne erano evidentemente tornati in possesso), che concede Macello ai Signori di Bricherasio.

    A questa punto, ci sembra doveroso aprire una parentesi, ed inquadrare storicamente sia la famiglia di Bricherasio, che con Francesco I ottiene il feudo e muta così il proprio nome in di Macello o, alla piemontese, Massel, sia gli avvenimenti che hanno portato a questo mutamento, che, come vedremo tra poco, non sarà l'unico.

    I di Bricherasio di cui stiamo parlando erano i discendenti di Guglielmo I di Bricherasio, di origine Anscarica, che per primo prese a dividere in quarti tra gli eredi il proprio feudo, Bricherasio appunto.

    Questa divisione del feudo portò la famiglia di Bricherasio a dividersi in quattro rami distinti: il ramo di Castelvecchio, quello di Castelnuovo, quello di Castellazzo e quello, da cui derivano i di Macello, di Santa Caterina.

    Dai numerosi atti che attestano la prestazione di omaggi ai Savoia comprendiamo chiaramente quali fossero le loro posizioni politiche: cosicché quando gli stessi Savoia, per i loro disegni, ebbero bisogno del feudo di Bricherasio, e ne iniziarono la compera delle varie porzioni, i di Santa Caterina non esitarono ad aggiungere a quelli già acquistati il proprio quarto.

    La vendita avvenne il X die mensis octubris MCCCXXXIII, e comprendeva quella parte di redditi feudali che era dei di Santa Caterina, e cioè: 1 moggio di frumento e 13 sestarii di segala per la decima, un mulino, terre, cortili, vigne, ed il palacium sito ad Sanctam Catelinam.

    Francesco I di Macello appare nell'ottobre del 1329 ad bastitam Paysane, e, nel novembre dello stesso anno, apud Caburrum pro guerra facienda in favore dei Savoia.

    Non sappiamo quanti figli abbia avuto Francesco I, ma da più parti ci consta ne abbia avuto almeno uno, Alberto II, a sua volta padre di Francesco II.

    Sappiamo da vari documenti, raccolti dal Bollea e successivamente pubblicati, che nel 1355 Francesco II era castellano di Pinerolo, e che sovvenzionava, essendo, a quanto pare, molto danaroso, gli stessi principi di Acaia. Tant'è che il 2 febbraio 1356 consegnò il proprio feudo nelle mani del notaio Romeo Lambano di Carignano, a ciò delegato da Giacomo di Acaia.

    Ma nel 1360 scoppia la guerra tra il conte Amedeo VI di Savoia ed il cugino Giacomo di Acaia, e Francesco II di Macello non esitò a schierarsi con i Savoia contro gli Acaia. Giacomo di Acaia non perse tempo a vendicarsi, dichiarando Macello devoluto alla sua Camera, e reinvestendone, il 27 gennaio, Francesco Bersatore, tornando così il paese ai vecchi feudatari.

    Francesco II continuò per la sua strada, legando sempre più i propri destini a quelli dei Savoia, finché, ricomposti i dissidi tra Savoia ed Acaia, riuscì, con abili mosse diplomatiche, a riconquistare la fiducia del principe pinerolese ed a farsi riconsegnare il proprio feudo.

    Due furono i figli di Francesco II: Antonio III e Francesco III, i quali (la storia si ripete) si trovarono coinvolti nella lotta tra Filippo di Acaia ed Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde, e, come loro padre, si schierarono contro gli Acaia. Anche Filippo di Acaia usò la stessa vendetta di suo padre, togliendo loro Macello ed infeudandolo in Antonio di Romagnano il 29 giugno 1368.

    Antonio di Romagnano era un fedele degli Acaia fin dal 7 giugno 1364, quando in una contesa fra il marchese di Saluzzo ed il principe, si era alleato con quest'ultimo. Questa infeudazione fu la fortuna di Macello, che scampò così alle incursioni ed ai saccheggi che le compagnie di ventura assoldate da Filippo fecero per due mesi, al principio del 1368, tutto attorno al paese, rovinando Barge, Envie, Cavour, Bricherasio, San Secondo, Miradolo, Perosa, Osasco, Frossasco, Cumiana, Cavallermaggiore, Piossasco, Beinasco, Villafranca e Santa Maria di Pinerolo.

    Ma Filippo era destinato ad una tragica fine, annegando ancor giovane nelle acque del lago di Avigliana, alla fine di dicembre del 1368, lasciando così il principato nelle mani del Conte Verde, diventando questi il tutore del giovane Amedeo, fratello di Filippo, dal 1368 al 1377.

    Chiaramente questo fatto segnò l'inizio della riscossa delle famiglie che avevano perduto i propri possedimenti a causa del sostegno dato alla politica sabauda: e così Francesco [III] di Bricherasio poté recuperare nel 1373 il feudo di Macello.

    Inizia così un periodo particolarmente travagliato, visto che i marchesi di Romagnano, forti dell'investitura del 1368, non erano per nulla disposti ad accettare il fatto compiuto senza muovere obiezioni; e qui riteniamo opportuno riportare alcuni passi di Albino Caffaro, fratello di Pietro, che ci danno un quadro efficace del clima che si era venuto a creare nel Pinerolese:

  • L'anno seguente, nell'agosto, il predetto Pietro di Caracossa e Pietro Aymadore furono aggrediti nel piano di Pinerolo al grido di ad mortem, ad mortem da Giovanni Camino, Giovanni Rabinelli, Giorgio Pellato, Antonio de Cabalario, Giovanni Turerii. Il Camino fu arrestato in flagrante e, mentre era dal castellano condotto alla curia, si imbattè in Burnone Fantini che veniva dal borgo e gli disse: quia non venistis omnes simul ad planum quando tales rumores fiunt? La lotta si era fatta con armi: dardi, tavolacci, spade, lance; e la questione era nata il giorno prima a Macello: tu pridie voluisti nobis plateam Macelli sufferre et facere nobis verecundiam dice uno degli aggressori ad uno degli avversari, e sfidandolo soggiungeva: recedas de platea (di S. Donato) aut malum adveniet tibi. Alcuni degli accusati, interrogati perchè si fossero trovati colle armi in piazza, in quell'ora, risposero che le armi le avevano indossate per andare al Monastero. Tommaso di Aymadore, fratello di Pietro, fu suo fideiussore; e molti de eorum agnatione ebbero parte alla contesa, che si ripetè ancora prima che quell'anno finisse. E di quell'anno medesimo, al Recluso del Monastero, in via publica prope crucem, dodici uomini di Macello armati di spade, mandati dal signore di questo luogo, uccisero Paolo di Novara, che incontrò la morte perchè era ad servicium domini principis. Il signore di Macello fu con lettera del giudice generale del Piemonte, che era pure giudice di Pinerolo, Michele Mantelli, datata da Pinerolo 10 novembre 1377, citato a comparire dinanzi alla giudicatura generale, per questo omicidio commesso per mezzo di sicari (per quosdam osusinos). Quello fu insomma l'anno delle gare intestine, e si comprenderà come venisse dal conte e dal principe in quei giorni del novembre di quell'anno stesso, proibito di pronunziare i nomi di guelfi e ghibellini. Queste lettere portano la data di Chieri, 22 novembre 1377, e proibivano a tutti i sudditi di pronunziar: vivat pars gibellina, moriatur guelfa oppure e contra, pena la lingua; e se ne fosse seguito versamento di sangue, pena il pugno; e se si fosse prodotto rumore o la morte di alcuno, pena la vita o per sospensione o per decapitazione. E proibivano del pari di gridare: viva il conte o viva il principe; ma a tutti facevano lecito di gridare: viva Savoia.
  • Il Gabotto ci dice addirittura che il 3 febbraio 1391 giunse a Pinerolo la notizia che i Romagnano avessero occupato il Castello di Macello; allora si mosse l'esercito del Comune di Pinerolo per andare sotto la piazza assediata, dove arrivarono il 9: evidentemente non si trattava di un esercito molto efficiente, visto che sei giorni per coprire un distanza di circa 7 chilometri sono davvero molti; e lo dimostra anche il fatto che i progressi nell' assedio erano lenti, ed il 14 altri Comuni ricevettero l'ordine di muovere verso Macello il proprio esercito, od almeno una parte consistente.

    L'esito di questa guerra locale è sconosciuto: certo è che l'attenzione del Principe era distratta da problemi più gravi, e così i di Macello recuperarono tardi il loro feudo, e probabilmente lo tennero in condizioni tanto critiche da essere indotti a venderlo, il 7 giugno del 1396, ad Antonio Savi (de Sapientibus) di Susa.

    Non abbiamo nessuna notizia sul dominio di Antonio Savi su Macello, e le fonti divergono anche sulla data in cui lo stesso cedette il feudo a Filippo e Borgognone Solaro: se il Guasco afferma, senza citare la fonte, che la vendita avvenne il 16 dicembre 1418, altre fonti la anticipano al 1396; e, del resto, non abbiamo ragione di dubitarne, dato che nel 1418 Filippo era già morto.

    Comincia così il lunghissimo domino della famiglia Solaro su Macello, la cui storia non si separò mai da quella del paese, e la cui influenza arriva praticamente sino ai giorni nostri: perciò riteniamo opportuno dilungarci un pochino sulle loro vicende.

    1.3 La famiglia dei Solaro.

    Innanzitutto una premessa di carattere bibliografico: non vi sono notizie su questa famiglia, se non scarsissime e riferite ai primi anni del XX secolo, nell'opera del Manno, Il Patriziato Subalpino, reperibile dattiloscritta presso l'Archivio di Stato di Torino; abbiamo dovuto così riferirci ad opere più generiche, come quelle dell'Angius e dello Spreti.

    Parlare della secolare famiglia dei Solari e di tutte le sue diramazioni in questo lavoro sarebbe probabilmente fuori luogo, interessando a noi solamente il ramo cosiddetto del Borgo: possiamo dire però che questo ramo deriva da quei Solari originari di Asti che non tornarono in quel Comune dopo la prima cacciata della loro famiglia, ma esularono tra Italia e Francia.

    Questo ramo ha origine da Benentino, vivente in Francia sul principio del XIV sec., il quale ebbe due figli: Antonio e Agostino; dal primo discendono direttamente i del Borgo, dal secondo i Monasterolo, dei quali non è il caso di trattare in questo lavoro.

    Antonio, alla morte del padre, tornò in Italia e cominciò il suo avvicinamento al Pinerolese: ebbe cinque figli, fra i quali Bonifacio I, che acquistò il castello di Stupinigi dalla famiglia dei Cavoretto, nel 1350, ed il castello di Moretta dal principe Giacomo di Acaia il 17 agosto 1362, al prezzo di ventunomila fiorini d'oro.

    Ma a noi interessa anche un altro figlio, e cioè Marchetto, che fu padre di Borgognone, il quale acquistò, come abbiamo visto, il castello di Macello nel 1396, assieme al cugino Filippo, colonnello dei principi di Acaia, figlio di Bonifacio I, che nel 1385 fu investito da Amedeo VII del castello di Casalgrasso e successivamente di quello di Torre S. Giorgio.

    Filippo morì ancor giovane, nel 1400, annegando nel Pellice (curiosamente come il suo omonimo principe di Acaia), e poichè Borgognone non ebbe discendenti, il feudo passò nelle sole mani del primogenito di Filippo, Bonifacio II, che ebbe l'incarico di scudiero di Giovanni di Borbone e poi di Ludovico di Savoia.

    Bonifacio II ebbe numerosi figli, ma solamente due di loro ebbero discendenza, dando così origine a due rami diversi all'interno della famiglia: Sebastiano, che si distinse nell'esercito dei Savoia durante la guerra contro Francesco Sforza, e Vasino, anche lui uomo d'arme, che combattè a Cipro nel 1460 e quindi fu nominato governatore di varie città del Piemonte, tra le quali possiamo ricordare Cavallermaggiore e Carignano. Di un altro figlio di Bonifacio II, Manfredo, è custodita una statua di marmo all'interno della chiesa del Colletto, presso Pinerolo, che lo ritrae in preghiera in tenuta militare.

    Il ramo di Sebastiano (che era il primogenito) conservò il titolo formale di signori di Macello, ma più importante per il paese fu certamente il ramo di Vasino; comunque dobbiamo ricordare della discendenza di Sebastiano suo figlio Giovanni Francesco, che il duca Carlo II di Savoia nominò nel 1540 consigliere per la minore età di Emanuele Filiberto suo figlio; Giulio Cesare, che ricevette da Emanuele Filiberto il titolo di conte di Moretta; Antonio Bonifacio, colonnello, fondatore nel 1668 dei Dragoni di Piemonte (l'attuale Nizza Cavalleria, di stanza a Pinerolo); e, infine, Giovanni Maria, ultimo del suo ramo, Scudiero della Regina nel 1722.

    Vasino sposò Andreotta S. Martino di Strambino, ed ebbe cinque figli, dei quali il primogenito fu Carlo, che rivestì un ruolo determinante nel dar lustro a questo ramo dei Solaro: fu infatti nominato paggio del re di Francia Carlo VIII, che accompagnò a Napoli nel 1493; nel 1513 fu nominato da Luigi XII Commissario generale di tutti i Regi Eserciti di qua e di là delle Alpi, e quindi fu mandato a Londra, insieme ad altri quattro cavalieri francesi, come ostaggio al re d'Inghilterra in garanzia di pace; oltre ad altri importanti incarichi politici e diplomatici, fu nominato Governatore di Torino quando la città fu occupata dalle truppe francesi, tentando di riappacificare, senza riuscirci, il re di Francia ed il duca di Savoia; morì nel castello di Tourne Loi di Parigi, del quale era Governatore, nel 1552.

    Carlo ebbe due mogli, avendo sposato una contessa di Favria in prime nozze, e Fiorenza di Piossasco in seconde; e se il primo matrimonio fu infecondo, il secondo gli portò quattro figli: Vasino, primogenito, che si diede alla carriera ecclesiastica e divenne abate del monastero di Roulz in Lorena; Francesco, che occupò varie cariche presso la corte di Francia, dove fu scudiere e gentiluomo di camera del re, ed ottenne le insegne dell'ordine di San Michele; Alessandro, cavaliere di Malta, prevosto e commendatore di Macello; e Giovanni, che fu ambasciatore di Carlo IX di Francia presso l'imperatore.

    Francesco sposò Lucrezia Costa di Polonghera ed ebbe due figli: Carlo e Ludovico, per i quali venne eretto in contea il feudo di Macello con patenti del 18 agosto 1592.

    Carlo fu ambasciatore di Carlo Emanuele I presso Luigi XIII di Francia, e Grande Scudiere del principe Maurizio di Savoia; morì senza figli e nominò suo erede il nipote Giovanni Francesco Emanuele.

    Ludovico fu il primo marchese di Dogliani, feudo che acquistò nel 1615, e passò tutta la sua vita al servizio di casa Savoia, il che gli fruttò numerosi incarichi di prestigio: divenne infatti comandante della piazza di Oneglia, ambasciatore presso Filippo II di Spagna, e governatore di Nizza, dove morì.

    Dalla moglie Paola di Challant, figlia di Claudio e di Bona di Savoia Racconigi, ebbe sei figli: il primogenito, Giovanni Francesco Emanuele fu governatore di Vercelli, Asti, e del Ducato di Milano, e sposò Silvia dei Marchesi Villa, da cui ebbe Giovanni Giuseppe, morto senza discendenza.

    Il secondo figlio di Ludovico fu Maurizio, cavaliere di Malta, arcidiacono di Vercelli e vescovo di Mondovì.

    Terzogenito fu Carlo Gerolamo, primo marchese di Borgo San Dalmazzo, feudo acquistato dalla famiglia dei Forni di Modena: da qui la sua famiglia prese il nome definitivo di Solaro del Borgo. Sposò Maria Roero di Cortanze e ne ebbe un figlio, Ignazio Francesco (morto nel 1743), che riunì tutti i possedimenti della famiglia, ed i relativi titoli nobiliari, nelle proprie mani.

    Ignazio Francesco sposò Elena dei conti S. Martino da cui ebbe due figli: Giovanni (1700-1746), morto senza lasciare discendenza, e Carlo Gerolamo II, che premorì al padre, ma fece in tempo a sposarsi con Maria Delfina Simiane dei marchesi di Pianezza, e ad avere tre figli: Francesco Ignazio, Carlo Maurizio ed Ignazio Maria Filippo.

    Il primo, Francesco Ignazio, ebbe tre mogli e due figli: Giuseppe Vincenzo dalla seconda, che apparteneva alla famiglia dei conti Ferrero di Ormea, e Vittorio, morto nel 1806 senza figli, dalla terza, dei conti Benso di Cavour.

    Giuseppe Vincenzo (1770-1815) raccolse l'eredità del nonno materno, il marchese Simiane di Pianezza, che portò un notevole incremento ai propri averi, incremento perso in gran parte, a causa della rivoluzione francese che aveva fatto sentire i suoi effetti anche a Macello, tanto è vero che il 9 dicembre 1798 fu saccheggiato il Castello.

    Dalla moglie Luisa Asinari di San Marzano ebbe otto figli, tra i quali Luigi (1783-1843), la cui discendenza arriva praticamente ai giorni nostri: ma questo oltrepassa i limiti temporali del nostro lavoro.

    1.4: L'organizzazione amministrativa nella prima metà del 1700.

    I bandi campestri Macellesi più importanti sono stati formati entrambi nella prima metà del XVIII secolo: ci pare quindi opportuno aprire una piccola parentesi dedicata all'organizzazione della struttura amministrativa locale dell'epoca.

    Siccome non si hanno notizie, per Macello, di particolari usi, né tantomeno di statuti, dobbiamo necessariamente rifarci a norme di carattere generale.

    Come possiamo leggere nel lavoro del Quazza, le basi per un'uniformità di amministrazione locale nei territori Sabaudi furono poste già prima del Settecento, ma fu fondamentale, per arrivare al compimento di tale risultato, l'opera di Vittorio Amedeo II prima, e di Carlo Emanuele III poi.

    Il passo più importante compiuto da Vittorio Amedeo II per garantirsi un efficace controllo sulle comunità sparse su tutto il territorio fu la creazione di nuove strutture, dotate di un'autorità capace di interporsi tra il Sovrano ed i Comuni: e queste strutture furono le intendenze, o per meglio dire, gli intendenti.

    Queste figure, che, lo ricordiamo, furono istituite con l'editto del 12 Maggio 1696, e quindi meglio definite nelle loro funzioni con le Costituzioni dell'11 Aprile 1717, dipendevano dal Generale delle Finanze, ed avevano come compiti principali attività quali il distribuire i carichi tributari proporzionalmente fra i Comuni sottoposti alla loro giurisdizione, giudicare in primo grado sulle cause demaniali, censire statisticamente la popolazione.

    Ma, oltre a queste ed altre competenze inerenti, diciamo così, alla materia più prettamente finanziaria e tributaria, avevano anche compiti amministrativi, quali la nomina dei segretari comunali, il controllo sulla composizione ed il funzionamento dei consigli, il controllo e la revisione dei bilanci delle varie Comunità.

    Detto questo, per comprendere quale fosse il funzionamento dell'organizzazione amministrativa di un comune come Macello, occorre dare un rapido sguardo all'editto che fu norma fondamentale su questa materia, e precisamente l'Editto di S.M. pel buon reggimento delle Città e Comunità del Piemonte, composto di 27 articoli, e datato 29 Aprile 1733.

    Il primo articolo, intanto, riduce, per quanto riguarda i centri più piccoli, quali appunto Macello, il numero dei consiglieri a due, ed il numero dei sindaci ad uno solo: questo con l'intenzione di eliminare discordie e confusioni.

    L'articolo due dispone poi che sia l'Intendente a nominarli per la prima volta, mentre in seguito dovranno essere eletti dal consiglio ordinario fra persone abitanti nel luogo istesso, d'età non minore di anni 25, di conosciuta probità e buon giudicio, non idiote per quanto sarà ciò possibile, né congiunte fra loro, od altri che abbino qualche lite, o contabilità con la communità, in primo e secondo grado di consanguineità, e primo di affinità, togliendo così questa facoltà al consiglio generale dei capi di casa, fonte, secondo l'articolo sei, di confusione e di fazioni.

    La scelta dei consiglieri, secondo l'articolo tre, non potrà essere effettuata fra quelle poche famiglie aventi questo privilegio derivante da usi consolidati e prerogative locali.

    L'articolo quattro stabilisce poi che il sindaco dovrà essere eletto tra i consiglieri ogni anno, e che solo a lui spetterà l'indennità stabilita volta per volta dall'Intendente (articolo otto).

    Queste, in linea di massima, le norme più importanti.

    Sulla loro portata diverse sono state le interpretazioni fornite dagli studiosi: se il Quazza afferma che la normativa attuata da questo editto intendeva spezzare i privilegi locali, ed aiutare così i Comuni sia sotto il punto di vista economico-finanziario, che sotto quello socio-politico, altri vedono in queste riforme non la difesa dei ceti meno abbienti, ma la consolidazione dell'assolutismo della monarchia attraverso la collaborazione dei ceti privilegiati, con la consegna, in pratica, delle comunità ad una ristretta oligarchia fedele al Sovrano.